«Tu conosci Maurizio Nichetti?»
Forse no, se hai meno di vent'anni.
Eppure ho la sensazione che, se ti mostrassi un fotogramma estrapolato da Ratataplan o il personaggio animato di Volere volare, quei capelli arruffati, gli occhiali tondi e i prominenti mustacchi non ti giungerebbero nuovi.
Io sono nato nel 1985 e, durante la mia infanzia, tra la televisione e i Topolino dei miei fratelli maggiori (cinema no, perché i miei genitori non mi ci portavano), ricordo che quella figura era onnipresente. Non avevo neanche coscienza di chi fosse, ma quell'immagine ha contraddistinto e accompagnato i miei primi anni da lettore e spettatore.
La svolazzante e scarmigliata acconciatura, la tonda montatura dei suoi occhiali e i suoi immancabili baffi: in gergo pubblicitario Nichetti si potrebbe quasi definire un brand. E, in fondo, lo è. È un marchio, il simbolo di un cinema italiano di qualità; sperimentale, visionario, fuori da ogni tempo e da ogni stereotipo. Non credo di esagerare asserendo che Maurizio Nichetti si potrebbe considerare una contemporanea maschera della commedia dell'arte. E non lo dico a caso: nel suo linguaggio, nel delineare i personaggi che andava ad interpretare, la formazione da mimo (ha studiato con Marise Flach, nda) ha sempre giocato un ruolo da protagonista.
Questi i pensieri che si affollavano nella mia mente mentre, seduto su una poltroncina rossa al primo piano della Civica Scuola di Cinema di Milano, attendevo di veder comparire all'orizzonte quei noti tratti somatici pronti a sottoporsi allo shooting concordato alcune ore prima.
Lo confesso: una discreta agitazione cominciava a fare capolino. «Ho fotografato emeriti sconosciuti, musicisti, ballerini, artisti, attori più o meno celebri, ma è la prima volta che mi capita di ritrarre un regista», pensavo. «Lui lavorava con lunghezze focali, ottiche, luci e inquadrature quando io non esistevo neanche.»
E poi, eccolo che arriva.
Primo imbarazzo (mio): il fraintendimento sul da farsi. Era convinto che gli volessi fare qualche foto “rubata”, non un intero servizio fotografico che gli avrebbe portato via un paio d'ore.

Si comincia.
Dopo pochi scatti, quelle che erano le mie preoccupazioni iniziali diventano la mia salvezza. Io mi ero preparato mentalmente una serie di situazioni ben definite, in modo da non farmi cogliere impreparato e da svolgere il compito il più rapidamente possibile. Di queste fotografie ne ho realizzate solo due e “mezza”. Questo perché, ad un tratto, la sessione si è spontaneamente trasformata in un gioco in cui la “vittima” (montavo i set con il costante pensiero rivolto a tutti gli impegni che stavo facendo ritardare al mio soggetto), diventa regista e inizia a proporre idee su idee, una più divertente dell'altra.
Ed è così che le due ore scarse che avevo preventivato si trasformano in tre ore abbondanti, ma soddisfacenti nel modo più assoluto. La disponibilità, la gentilezza, la paziente collaborazione di Maurizio hanno reso questo servizio un'esperienza per me preziosissima.
Termino la giornata lasciando cadere l'effimera veste professionale che avevo cercato di mantenere fino a quel momento e chiedendogli timidamente di autografarmi il DVD di Ho fatto splash e il suo recentissimo libro Autobiografia involontaria, pretesto principale per le mie riprese.
«Sai, ti sembrerà strano, ma da bambino ho visto Volere volare ben prima di Chi ha incastrato Roger Rabbit», lui mi guarda e sorride.
Neanche sapevo, non avendo ancora letto il libro, che l'idea di Nichetti e Guido Manuli di mescolare attori in carne ed ossa con cartoni animati era sette anni più vecchia di quella di Zemeckis.
AUTOBIOGRAFIA INVOLONTARIA
Perché involontaria? Nichetti trova noiose le biografie ed esprime giudizi anche più severi sulle autobiografie, dove le informazioni e le notizie, per lo più autocelebrative, non sono neanche verificabili; si chiede perché la casa editrice Bietti Heterotopia abbia chiesto proprio a lui di scriverne una. In realtà, dopo qualche pagina, si intuisce che questa “non-autobiografia” è stata tanto involontaria quanto necessaria.
Maurizio prende come pretesto il dover scrivere di sé per estrarre dal suo cassetto personale ricordi, aneddoti, soggetti mai sviluppati, riflessioni, punti di vista.
Proprio su questi ultimi mi vorrei soffermare.
La sua creatività, prima da sceneggiatore (ha iniziato scrivendo per Bruno Bozzetto), poi da regista, è spesso imperniata sul ribaltamento delle prospettive, sull'osservazione di una realtà quotidiana filtrata da punti di vista mai scontati, solitamente surreali e inaspettati; ed è proprio questo lo stesso modus cogitandi che organizza le 233 pagine del piacevolissimo libro in questione.
La prima parte ripercorre in maniera non cronologica la vita dell'autore. La sua infanzia, la sua carriera, i suoi primi successi, i suoi insuccessi, le delusioni, gli orgogli, gli incontri quasi casuali con Charlie Chaplin o Jacques Tati, il rapporto con Nanni Moretti, la sua Milano, dalla quale non si è mai allontanato, il riscontro sorprendente della proiezione dei suoi film all'estero, gli aneddoti personali del Nichetti-uomo. E risulta poi buffo leggere tutto ciò mantenendo fisso in testa il caratterista un po' alienato dei suoi lavori: ci si rende conto che nella sua cinematografia c'è più autobiografia di quanto si immagini.
Maurizio Nichetti è un acuto osservatore. Da un lato, in quanto spettatore di un'attualità sterile e impersonale, non trattiene un po' di nostalgia nei confronti di un passato romantico e pregno di tridimensionalità percettiva, dall'altro non perde occasione per tenersi aggiornato e dimostrare un'insaziabile curiosità verso i nuovi mezzi, verso il presente e il futuro di quello che è il mondo multimediale.
La seconda parte del libro, separata dalla prima da uno stuzzicante inserto fotografico, è composta da alcuni racconti, un paio dei quali ha trovato concretizzazione in Ho fatto splash (1980).
Molto riuscita anche la scelta di inserire nel corso della narrazione una decina di QR-code che, scansionati tramite il proprio smartphone, riportano ad allettanti contenuti video.
«Tu conosci Maurizio Nichetti?»
Se sì, la sua Autobiografia involontaria diventa imprescindibile.

Se no, rappresenterà sicuramente una lettura piacevole e molto curiosa che potrà fornirti un'inusitata visuale su quella che è stata una determinata, circoscritta avanguardia espressiva del nostro Paese.
Senza privarti di quattro sane risate.
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